A novembre, per il nono mese consecutivo, l’indice complessivo della produzione industriale ha ceduto segnando una variazione tendenzialmente negativa. Il 2019 della manifattura chiude in negativo e non accadeva da cinque anni.
Secondo il viceministro dell’Economia Antonio Misiani serve una politica industriale che segni una nuova alleanza tra Stato e privati con uno Stato investitore paziente e motore di innovazione. Inoltre, dice Misiani, l’Italia ha bisogno di grandi imprese, senza le quali nell’economia globale non si è protagonisti ma solo gregari. Per questo il Governo ha previsto nella Legge di Bilancio il piano di investimenti pubblici da 58 miliardi per ambiente e infrastrutture sociali quindi ora serve presto e bene tutte le risorse disponibili per realizzare progetti orientati alla riconversione ecologica dell’economia.
Due idee su come rilanciare la produttività nel nostro Paese arrivano anche da Stefano Firmo e Andrea Tavecchio secondo i quali il fisco può fare molto, favorendo gli investimenti a maggior contenuto di rischio, di innovazione e tecnologia come si è fatto con il Piano Industria 4.0. “Vale la pena ricordare”, dicono “come nel biennio di piena operatività del piano (2016 e 2017), la produttività del lavoro è cresciuta dell’1,2 per cento, quella del capitale del 2,5 per cento e la TFP del 2,1 per cento”. E inoltre “occorre un sistema fiscale più equo, semplice e moderno capace di riequilibrare i pesi contributivi, riducendo il carico fiscale sul lavoro e sui ceti produttivi, liberando risorse a favore degli investimenti pubblici..”. Bisogna riformare l’Irpef, abbassando il carico fiscale su chi lavora, e mettere mano a una revisione della tassazione dei consumi, anche toccando in modo selettivo l’IVA. E per ampliare la platea dei contribuenti “bisogna mettere mano alla dichiarazione dei redditi delle persone fisiche in modo che questa non afferisca (quasi) al reddito, ma dia una visione anche della situazione patrimoniale dei contribuenti”. Questa ricetta sulla contribuzione tiene in debita considerazione l’evoluzione in corso della nostra realtà sociale italiana nella quale -come si dice nell’ultimo lavoro di Luca Ricolfi “La società signorile di massa” in cui spiega- il combinato disposto di ricchezza accumulata, alte percentuali di inoccupati e giovani NEET, scarsa natalità e rapido invecchiamento della popolazione, porta a una condizione di apparente benessere generalizzato sostanzialmente dovuta alla presenza di immigrati sottopagati e alle attese di eredità di una parte importante della popolazione più giovane.
Veramente l’Italia non è un Paese per giovani?
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